Adesso che torno in Italia, è giusto che si concluda questo blog.
Non posso che chiudere con questo valzer, che sembra si rivolga a una donna, ma solo a un orecchio disattento, perché in realtà è chiaro, specie dalle strofe, che parli alla Tunisia stessa.
L'autore è Yasser Jradi, musicista e calligrafo. La melodia in realtà non è originale, bensì ispirata a una canzone catalana dei tempi della resistenza contro Franco (questa). Le parole, invece, sono tunisine al 100%: vi metto sotto al video testo arabo e traduzione italiana (mia - anche se ringrazio amici sparsi per l'aiuto).
Un bacio a chi mi ha letto - spero che le cose che ho raccontato in questi mesi vi siano risultate in qualche modo interessanti, e vi mando un ultimo saluto dall'altra sponda del Mediterraneo.
:*
ياسر جرادي - ديما ديما
نحلف بعرق البناية
اللي يهبط على الحجر يذوب
باللي رجليهم حفايا
و اللي تعبوا مالمكتوب
نحلف بيمين البحارة
بالشمس و الريح
و السحاب
نحلف بالموجة الغدارة
لا لا على حبك ما نتوب
لا لا ما نمل من
صعبك علي
نكتب اسمك بالدم في يدي
نرجعلك ديما ديما ديما
مهما زرعولي الشوك
في الثنية
مهما الأيام حبت تهرب بيا
نرجعلك ديما ديما ديما
و نسقي زرعك بدموع عينيا
مهما خنتيني انت عزيزة عليا
نحلف بايدين
الفلاحة
اللي اتولدت في الشوك و التراب
ولدت الخبز بجراحها
و غلبت هالدهر
الكذاب
نحلف بليالي الكناسة
بخدام الحزام و الحطاب
ولاد المنجم و الخماسة
لا لا على حبك ما نتوب
لا لا ما نمل من
صعبك علي
نكتب اسمك بالدم في يدي
نرجعلك ديما ديما ديما
مهما زرعولي الشوك
في الثنية
مهما الأيام حبت تهرب بيا
نرجعلك ديما ديما ديما
و نسقي زرعك بدموع عينيا
مهما خنتيني انت عزيزة عليا
Yasser Jradi - "Sempre sempre"
Giuro sul sudore dei muratori
che cade sulla pietra ed evapora
su chi ha i piedi scalzi
e su chi è sfinito dal destino.
Giuro sulla destra dei marinai
sul sole, sul vento e sulle nuvole
giuro sull'onda infida
no, no, non mi pento di amarti.
No, no, non mi stanco delle pene che mi dai
mi scrivo col sangue il tuo nome nelle mani
tornerò da te sempre, sempre sempre
anche se mi seminano la strada di spine
anche se i giorni mi portano via
tornerò da te sempre, sempre sempre
e innaffierò il tuo campo con le mie lacrime
anche se mi hai tradito mi sei cara.
Giuro sulle mani dei contadini
che sono nati tra la terra e le spine
che hanno fatto nascere il pane dalla loro ferita
e che hanno vinto sulla sorte bugiarda.
Giuro sulle notti degli spazzini
su chi fa i lavori pesanti e sui taglialegna
sui minatori e sui mezzadri
no, no, non mi pento di amarti.
No, no, non mi stanco delle pene che mi dai
mi scrivo col sangue il tuo nome nelle mani
tornerò da te sempre, sempre sempre
anche se mi seminano la strada di spine
anche se i giorni mi portano via
tornerò da te sempre, sempre sempre
e innaffierò il tuo campo con le mie lacrime
Questo titolo non solo è tutto un'allitterazione, ma tiè, ora che
lo leggo è pure un endecasillabo. Dante mi fa un baffo. Ma andiamo
avanti.
Ho pensato di raccontare due sguardi contrapposti sulla "rivoluzione"
tunisina attraverso due personaggi che li incarnano rispettivamente,
e che sono i due professori con cui ho studiato lo scorso trimestre
(ottobre-novembre-dicembre). Per tutelare la loro privacy daremo loro
dei nomi e cognomi fittizi, uhm, diciamo Boccia Comunista e Barbetta Religiosa,
in accordo con la forma e distribuzione dei loro peli facciali e al
contempo con la più eclatante delle loro caratteristiche politiche -
la barbetta poi, rientra in entrambe le categorie perché è simbolo
di islamismo, tant'è che sotto Ben Ali era
pressochè vietata, se non volevi finire spiato e incarcerato. Però
sia detto che quella di Barbetta non è una barba salafita,
ma appunto una barbetta musulmana appena accennata, moderata.
Barba musulmana salafita
Barba musulmana riformista
Barba yasariyya (= di sinistra)
Per boccia, invece, in questo caso non intendo ovviamente la boccia da nazi skin, ma un taglio di capelli tipo questo.
Entrambi lavorano nella capitale, ma entrambi vengono dall'interno
della Tunisia, da quei posti dove la gente non ha neanche le scarpe,
e da dove non a caso è partita la rivoluzione: la regione più
disastrata del paese, ignota ai tunisini stessi prima dei recenti
avvenimenti, dimenticata in anni e anni di investimenti del governo
esclusivamente nelle città costiere.
Boccia è di Gafsa (قفصة), capoluogo di un governatorato che sarebbe un
cratere di nulla se non fosse che c'è uno dei giacimenti di fosfato
più grandi del mondo, intorno al quale gravitano lavori e vite degli
abitanti - anche perché qualsiasi attività di agricoltura e
allevamento è totalmente compromessa dall'inquinamento dovuto
all'estrazione. Qui è nata la rivolta del 2008, vera antesignana di
quella del 2010: leggetevi questo bellissimo articolo, e guardatevi il trailer di
questo film, "Sia maledetto il fosfato", appena uscito in
Tunisia.
Barbetta, invece, è di Kasserine (القصرين), città protagonista,
immediatamente dopo Sidi Bouzid, delle rivolte del dicembre 2010 che
hanno portato alla caduta del regime, e teatro, in particolare, dei
primi violentissimi scontri, in cui la polizia ha ucciso più di 50
cittadini. Si tratta di un altro gorgo di miseria dove, questo
secondo la visione semplificata di Barbetta, i giovani si dividerebbero in due
categorie, entrambe estreme, che ruotano intorno agli unici due
luoghi di aggregazione presenti: i teppistelli che passano la
giornata al bar, o i fanatici che passano la giornata in
moschea.
Entrambi la rivoluzione l'hanno "fatta", entrambi erano
nella capitale il 14 gennaio 2011, col pensiero ai loro paesi, a
gridare "dégage" e a farsi picchiare dalla polizia, ed
entrambi dicono che in quel momento non gli sarebbe importato di
morire. E sì che Barbetta all'epoca aveva una moglie incinta! Ma lo
spirito del martirio, da queste parti, funziona così...
In cosa si differenziano dunque i nostri eroi?
Boccia è giovanissimo ed è bello come il sole. Uh...Cos'ho detto?
No! Non ho affatto una cotta per lui! E' stato un lapsus. Ricominciamo.
Boccia è colto, profondo, critico. Alle elezioni dell'assemblea
costituente nell'ottobre 2011 ha votato comunista - vabbè del resto,
come abbiamo visto, lo dice il suo cognome. Ciò non contraddice, a
suo modo di vedere, il suo essere musulmano. Forse non proprio
musulmano osservante - ad esempio sappiamo che non disdegna l'alcool,
e non solo dalle sue citazioni entusiastiche del poeta del vino Abu Nuwas - ma comunque musulmano. Dalle sue parole: "Non mi definirei comunista, anche perché non è detto che uno debba riconoscersi in toto in una particolare dottrina; però ritengo
giusti molti degli ideali marxisti, e credo che non siano
inconciliabili con l'islam."
Barbetta ha dieci anni di più e tiene famiglia. Non ha la stessa
profondità né la stessa apertura mentale; però è molto più
socievole, caciarone, e propenso alla chiacchiera con gli studenti.
Questo si traduce in un sacco di dibattiti in classe su questioni
religiose e politiche, che noi fomentiamo un po' per scherzo un po'
per sincero interesse, perché, essendo i nostri rispettivi punti di
vista totalmente alieni l'un per l'altro, ne nasce veramente un
confronto. Di solito Barbetta ci ascolta dapprima con curiosità e poi dice
"D'accordo, questa è la tua opinione e la rispetto",
affrettandosi a cambiare argomento: in quel momento, gli leggi nello
sguardo come stia mentalmente cercando rifugio nel Corano dagli
attacchi di questi piccoli miscredenti stranieri alle sue certezze.
Povero! Studenti che lo hanno avuto in passato ci hanno raccontato
che, invitati a proporre articoli di giornale da leggere in classe,
gli hanno portato "Imam benedice nozze omosessuali".
Geniale.
Alle elezioni ha votato Ennahdha (chevvelodicoaffà), partito islamista che ha vinto.
Boccia
è fan del diritto di sciopero e del sindacato (الاتحاد
العام التونسي للشغلUnion Générale Tunisienne du Travail),
che lui idealizza e che ritiene l'unica forza alternativa di
opposizione, in mezzo ai due fuochi che sarebbero da una parte gli
islamisti alla ribalta e dall'altra i residui corrotti del vecchio
regime ancora in piedi.
Barbetta è un crumiro che a dicembre invitava a boicottare lo sciopero generale,
più che altro perché si sarebbe trattato di opporsi al governo che
lui sostiene.
Boccia non è per niente contento. E' disgustato dalla politica,
amareggiato dal fatto che la rivoluzione non abbia portato nessun
cambiamento concreto per quanto riguarda le istanze primarie che
l'avevano mossa: lavoro, dignità, diritti sociali. La sua città,
per esempio, è messa come prima, e lui lo sa bene.
Barbetta, invece, non si interessa di politica più di tanto -
ragion per cui, essendo un bravo musulmano, si è limitato a votare
un partito che diceva ai bravi musulmani: se hai fede in Dio, puoi
riconoscerti in me - ma quando parla della rivoluzione, ha i
luccichii negli occhi.
Che la sua città natale sia un disastro come due anni fa e che
continuino a esservi fabbriche che chiudono, licenziamenti, scioperi
e manifestazioni, che lui stesso, nella capitale, lavori pagato a
cottimo e senza lo straccio di un contratto per un'università
pubblica...tutto questo, lui, pare non vederlo, quando gli si fa
notare il fallimento dell'attuale governo. Nega l'evidenza e dice che
va tutto bene, che quei problemi, che lui è il primo a scontare, li
inventa la propaganda dell'opposizione. Forse perché qui, nella
Tunisia postrivoluzionaria in cui il dialogo tra le forze politiche è
appena nato, troppo spesso ci si sceglie uno schieramento e poi lo si deve
difendere a oltranza contro i nemici, anche indipendentemente dai
contenuti – cosa che riscontriamo anche nell'ardore di Boccia nei
confronti di un sindacato che, senza nulla togliere alla sua storia e all'importantissimo ruolo giocato durante la rivoluzione nel
coordinare le lotte, al momento si è accordato col governo in barba
ai lavoratori.
O forse, è perché il partito di Dio non può sbagliare. Boh.
Fatto sta che per Barbetta, quello che conta è che la rivoluzione
gli ha dato la libertà di esprimere quello che è – ovvero un
bigotto, ma pur sempre quello che è! Se prima non si sentiva libero
di andare in moschea a pregare o di mostrare apertamente la sua
religiosità, adesso può fare quello che vuole senza temere sospetti
e delazioni. "Io adesso respiro a pieni polmoni, io adesso
cammino a testa alta per la prima volta nella mia vita. Abbiamo
sconfitto la paura! Questo senso di orgoglio e di serenità che
provo adesso non l'avevo mai provato, e non può togliermelo più nessuno. Per quanto mi riguarda, tanto mi basta". Vi confesso che queste parole mi
hanno commosso, e che, se si prova a guardare dal suo punto di vista,
le cose stanno in effetti anche così. Perché il regime di
Ben Ali, facendosi scudo del concetto del "laicismo dello stato"
e facendosi bello davanti ai nostri governi con la "lotta
all'integralismo", ha agitato la bandiera del pericolo islamista
per mandare in carcere o in esilio la più importante forza di opposizione
(appunto, quegli islamisti che ora sono tornati allo scoperto) e per
mantenere uno stato di polizia. Però noi, in Europa, dicevamo che la
Tunisia era uno stato laico e che il presidente era riuscito ad
evitare il pericolo del terrorismo, contrariamente a quanto succedeva nella vicina
Algeria. E ci piaceva. Tanto, che poi i tunisini vivessero in uno
stato di partito unico, terrore, intercettazioni, spionaggio,
polizia, prigione, tortura, censura a qualsiasi mezzo di comunicazione
e mancanza di ogni tipo di libertà...chi lo sapeva? A chi importava?
E che questo presunto laicismo fosse solo una facciata, chi lo
capiva?
Per me il
vero laicismo è una battaglia culturale per liberare lo Stato
(che dovrebbe essere un fatto pubblico) dall'ingerenza della
religione, e allo stesso tempo la religione (che dovrebbe essere un
fatto privato) dall'ingerenza dello Stato. Ad esempio, nonostante la dittatura ci fosse anche lì, perlomeno sotto Bourguiba, che ha praticamente fondato la Tunisia moderna dopo l'indipendenza dalla Francia nel 1956 (e che ha lasciato la presidenza del paese solo nel 1987, quando l'allora primo ministro Ben Ali lo depose con un colpo di stato incruento, dichiarandolo incapace di governare per via della vecchiaia), la Tunisia è diventata uno dei paesi più laici e aperti, culturalmente parlando, del mondo arabo: è stata promossa l'istruzione e così i diritti delle donne, sono state aperte le
prime scuole miste, si è regolamentato il divorzio civile al posto del "ripudio" della legge islamica, è stata
abolita la poligamia maschile, altrimenti consentita dal diritto musulmano. Ma
laicismo non è proibire il velo o le barbe;
tantomeno incarcerare i membri dei partiti di ispirazione religiosa!
Se vuoi uno stato laico per davvero, per me la prima cosa che devi
fare è favorire l'istruzione, la cultura, la circolazione di idee,
il dibattito. Ovviamente non la repressione! In fondo è successo
così da noi nel '68, o no? Stando ai racconti di mamma e papà,
senza quel clima di grande fermento culturale e dialogo, non ci
sarebbe mai potuta essere nessuna rivoluzione sessuale e staremmo
ancora come mia nonna siciliana: matrimonio e figli obiettivo
principale della vita di ogni donna, vergini fino al matrimonio, il
sesso solo per procreare, acqua di Lourdes nelle boccette di plastica
a forma di madonnina, con la coroncina blu come tappo. E infatti la Tunisia è tipo un po' così. Perchè Ben Ali mica l'ha promossa 'sta rivoluzione culturale del laicismo. Poi vabbè, le bottigliette a forma di profeta Mohammed non le possono fare perché l'islam è iconoclasta...grazie a Dio! Però, a casa mia, il proprietario ci ha lasciato una riproduzione in plastica della moschea del profeta a Medina.
Il livello di trashitudine mi sembra simile, no?
Boccia è contrario al niqab.
Oh no, non sapete cos'è il niqab? Al volo: è questo e in Tunisia, prima della rivoluzione, praticamente non esisteva.
Adesso si vede in giro: RARAMENTE, molto raramente, ma si vede. Paradossalmente, i primi tempi ci
facevo meno caso io, che ho vissuto in Egitto, dove era all'ordine
del giorno, piuttosto che i miei amici tunisini, che si danno le
gomitate e si bisbigliano "Oh, hai visto quella?" se per
caso passa una che lo indossa. "E' inquinamento ottico!"
dice sempre la mia coinquilina (tunisina). Quindi hanno fatto venire anche a me la fissa di notare queste tipe per strada, tanto che, ormai, quando passa
una col niqab mi viene da fare “tua, chiuso”!
Boccia dice, giustamente, che non è una cosa che fa parte della
cultura tunisina, che i salafiti vogliono portare in auge delle
strane robe del golfo o afghane che non si sono mai viste da queste
parti.
Intervista realizzata dal ragazzo della mia coinquilina a un commerciante che vende vestiti provenienti dall'Algeria e dall'Arabia Saudita davanti alla moschea di Al-Fatah a Tunisi (che sta a due passi dalla mia scuola ed è un noto covo di salafiti).
Boccia sostiene, quindi, che questo genere di vestiti "estremisti",
non solo il niqab e altri indumenti femminili, ma anche le tuniche maschili modello saudita o afghano, andrebbero vietati in quanto estranei alla
tradizione tunisina. Che se proprio uno vuole indossare vestiti tradizionali, a questo punto che indossi la
più autentica jubba
tunisina e la chechia “...come fa mio padre a Gafsa”.
Abiti tradizionali tunisini. La chechia è quel berretto rosso :)
"Ma allora i jeans, le t-shirt, e tutti i vestiti
che indossate su modello occidentale? Dovreste vietare anche quelli?"
osserva la mia compagna di classe americana, smontando in un secondo
il ragionamento dell'insegnante. La verità è che c'è molta rabbia
negli animi di chi, come Boccia, vede per certi versi la cultura del
paese importare modelli di arretratezza anziché progredire. Ad esempio, è dura vedere rimessi in discussione diritti della donna che parevano
acquisiti da decenni - cfr. la famosa definizione proposta per la costituzione, per cui la donna non sarebbe "uguale", bensì "complementare" all'uomo.
Ma
proibire alla gente di vestirsi come gli pare, è giusto? Allora
rifacciamo come faceva Ben Ali, un finto laicismo che proibisce le
espressioni religiose?
Barbetta
è anche lui contrario al niqab. Non gli piace, e dice che il
vero islam non prescrive affatto una cosa così opprimente per le
donne. Ma ritiene che ognuno debba essere libero di indossare quello
che gli pare.
E qua mi
fermo perché la discussione sarebbe lunga. Io sono d'accordo con
Barbetta e penso che non sia giusto che lo Stato intervenga nella
sfera delle scelte individuali. Allo stesso tempo, però, non crederò
mai che una donna "scelga liberamente" di indossare una
cosa come quella, che è palesemente uno strumento di tortura
inventato dai maschi – come lo sono i tacchi a spillo, la taglia 42
e il perizoma.
Boccia,
quando durante il corso affrontiamo l'argomento del "dialogo tra
le religioni" e troviamo tra i brani in programma che "tutte
le religioni hanno principi condivisi come la tolleranza, la pace e
l'amore", interviene a puntualizzare che, in realtà, questi non
sono principi prettamente religiosi, ma piuttosto principi umani. Io,
beh lo sapete, mi sarei spinta ancora più in là e avrei detto che
le religioni in realtà fomentano da sempre l'intolleranza, l'odio e
la guerra, ma capisco che era chiedere troppo, quindi ho comunque
apprezzato la precisazione del prof.
Barbetta,
quando affrontiamo con lui lo stesso argomento, viene paralizzato da
un'osservazione di un mio collega americano: "Parliamo di
dialogo, ma a questo dialogo di solito ci invitiamo solo le tre
religioni abramitiche, a volte per puzza ci infiliamo magari induismo
e buddismo (giusto perché abbiamo un coreano in classe, n. d. Luce)
, e comunque mai l'ateismo. Questi principi comuni di pace e
tolleranza non è che gli atei non ce li abbiano...". Barbetta
ci riflette su. Alla lezione successiva, nel riassumere il brano
letto, quando arriva al punto dei famosi principi comuni, aggiunge
"...come ci ha fatto notare l'altra volta C., questi principi li
condividono tutti, i cristiani, i musulmani, gli ebrei, i buddisti
etc. etc. ...e perfino gli atei". Io rido e gli chiedo:
"Perfino, eh?". Lui si rende conto, arrossisce, e mi
risponde timidamente: "Questo è l'inizio, Luce...questo è
l'inizio".
Ed
è proprio vero, questo è solo l'inizio di un
percorso di apertura, di confronto con le differenze e di dialogo,
che è iniziato in Tunisia e di cui le nostre classi sono solo un
piccolo esempio, coi professori che non vedono l'ora di discutere di
attualità a lezione; che ci fanno ascoltare le notizie alla radio
come esercizio di comprensione orale e non perdono occasione di
commentarle con noi; che propongono in classe il dibattito su quegli
stessi concetti, prima tabù, che ora i tunisini discutono non solo
in assemblea costituzionale, ma soprattutto nelle scuole, sui
giornali, in tv, a casa, nelle strade e nei caffé: la
democrazia, i diritti umani, l'indipendenza della magistratura, la
giustizia di transizione, la trasparenza del governo, il
laicismo...
Per
questo, nonostante Boccia abbia ragione su tutta la linea quando dice
sconsolato che la rivoluzione non ha cambiato nei fatti il paese, e
che non solo sono tutti più poveri e disoccupati di prima, ma devono
pure fare i conti coi barbuti...nonostante tutto questo,
personalmente sono convinta che i tunisini abbiano conquistato un
punto di partenza promettente per il cambiamento, e cioé il diritto
a opporsi; penso che la libertà di parola recentemente acquisita non
sia affatto cosa da nulla, e che i barbuti abbiano diritto a questa
libertà di parola anche loro; e che se i barbuti non piacciono,
allora bisogna veicolare idee diverse e alternative, sempre col
dialogo, con le armi della cultura (visto che già ci pensano alcuni
barbuti a essere violenti per davvero) e con tanta, tanta pazienza,
perché la rivoluzione, quella culturale, non si fa in un giorno.
Possiamo mettere in dubbio che ci sia davvero qualcosa da celebrare in questo anniversario - lavoro e dignità non sembrano essere pervenuti, le famiglie dei cosiddetti martiri chiedono ancora giustizia, e anche sulla libertà d'espressione, forse l'unica conquista da quello storico giorno, ci sarebbe tuttavia da dire.
Possiamo discutere su quanto sia veramente cambiato e su quanto la strada sia lunga.
Possiamo affermare con certezza che la Tunisia non è tutta gelsomini e fiori.
Però, intanto, se non avete visto questi video all'epoca in tempo reale, dovete vederli adesso.
Oggi, due anni fa.
Video storico davanti al ministero dell'interno: "Dégage" ("Vattene!")
Altro video storico: un avvocato esce sull'avenue deserta, di notte, violando il coprifuoco, e urla a tutti la notizia. "Tunisini! Siete liberi! Viva la Tunisia libera! Ben Ali il criminale è scappato! Ben Ali il ladro! Ben Ali il cane! Viva il popolo tunisino! Viva la libertà!". Alcune donne riprendono la scena dalla finestra e piangono.
I primi di ottobre, dopo solo una
settimana dal mio arrivo a Tunisi, è successa una cosa che mi ha
fatto toccare con mano cos'è che è cambiato dopo la "rivoluzione"
– però facciamo che "rivoluzione" lo dico sempre tra
virgolette, seguendo il sentire dei miei amici di qui.
Io studio all'Institut Bourguiba des
Langues Vivantes, che fa parte dell'università El Manar,
un'università pubblica tunisina. E' un istituto molto famoso
all'estero, punto d'eccellenza dell'insegnamento dell'arabo, fiore
all'occhiello dell'istruzione in Tunisia, faro di sapere blablabla.
Ma questa retorica sempre presente
sulle lingue delle autorità, pur basata in parte sulla realtà dei
fatti - quanto a qualità delle lezioni, è veramente un'ottima
scuola! - nasconde degli ingranaggi di ingiustizia, e questa che vado
a raccontare è una storia di rivolta.
Inizialmente, galeotti furono i
libri: a corsi iniziati da due giorni, dei suddetti neanche
l'ombra. E sì che si tratta di libri di testo scritti dagli stessi
docenti dei corsi, abbinati a vari cd, tutto non solo molto curato ed
efficace, ma anche indispensabile allo svolgimento delle lezioni. E
tutto come al solito, cioè: è da anni che ai corsi del Bourguiba si
insegna su quei libri, e si sa che ogni trimestre ne servirà una
certa quantità. Perché mai non sono ancora pronti? E pare che lo
stesso problema si sia già presentato l'estate appena passata! I
prof, sconsolati, fanno le prime lezioni a braccio senza poter
effettuare gli ascolti, la comprensione dei testi in programma, gli
esercizi, eccetera. Si scusano con noi anche se la colpa non è loro,
ci dicono che hanno già sollecitato la direzione, responsabile della
stampa, senza risultati. "Perché non provate a chiedere voi
quando saranno pronti?" - ci fanno capire più o meno
indirettamente che una pressione da parte nostra potrebbe essere
risolutiva. In fondo è un problema che tocca anche e soprattutto
noi, studenti paganti. Andiamo a chiedere in direzione durante la
pausa, ci dicono "domani". Non solo: pare che a causa di
alcuni problemi di stampa, i libri saranno fotocopie in bianco e
nero; per risarcirci di questo inconveniente ci è stato già fatto
uno sconto di 50 dinari sull'iscrizione (allora ecco perché ci
avevano fatto pagare di meno! Ma perché non ci avevano spiegato
nulla?). I professori insorgono. Fotocopie in bianco e nero? Ma è
assolutamente anti-didattico! In una scuola dove per metodo non si
traduce mai, bensì si spiega tutto in arabo, le figure, specie ai
primi livelli, sono fondamentali, e potete immginare come imparare il
nome dell'arancia o della mela, che in fotocopia appaiono uguali, sia
problematico. Per non parlare degli esercizi tipo "Cosa indossa
Mohammed?" "Una maglietta rossa"!
Il prof, in classe, ci propone di
scrivere accanto ai nostri nomi, sul foglio dell'appello giornaliero
che andrà in direzione, la frase "in attesa dei libri a
colori". ("Questo prof è un figo", penso io, ed è
l'inizio della mia cotta adolescenziale, ma questa è tutta un'altra
storia).
A questo punto parte lo sciopero. I
prof si rifiutano di fare lezione, pur scusandosi con noi studenti e
dicendosi pronti a recuperare le ore perdute: "Lavoreremo di
pomeriggio, di sabato, quando volete, non esiste che veniate da così
lontano e perdiate per colpa nostra anche solo un'ora di lezione".
Come non amarli? Cerchiamo di star loro vicini, si formano capannelli
di studenti e docenti sui vari pianerottoli, noi studenti scriviamo
una lettera al direttore che recita più o meno "Veniamo fin qui
da tutto il mondo e paghiamo moneta sonante, ergo vogliamo tutti gi
strumenti necessari ai nostri studi". La direzione chiude la
porta in faccia a tutti noi.
I nostri amici coreani di fronte al ministero dell'istruzione tunisino
Quel pomeriggio, la spedizione: non ci
ascoltano? Si va nientedimeno che al ministero dell'istruzione!
Ed ecco un nutrito gruppo di docenti accompagnato da qualche studente
giunto in solidarietà – inutile dire che sono tra loro. I miei
colleghi di corso americani deprecano fin dall'inizio la fastidiosa
interruzione delle lezioni, e di fronte all'adesione entusiasta alla
protesta da parte mia e di altri, sostengono che gli italiani, si sa,
amino gli scioperi perché è una scusa per non lavorare (però
personalmente, al contrario di loro, non mi sono assentata ad un solo
giorno di lezione in un trimestre; e al ministero ci sono andata di
pomeriggio, mentre loro erano al mare o a fumare la shisha).
Comunque! Vi starete chiedendo come mai
tutto questo casino per dei semplici libri. Diciamo che avevamo
facilmente intuito che fosse solo la punta dell'iceberg, e che ci
fossero tanti motivi di malcontento nei confronti della direzione,
per non dire dei piani più alti dell'amministrazione: come gli
studenti constatano da anni, il Bourguiba non ha mai brillato per
efficiente organizzazione, e problemi tra i più vari sono sempre
stati all'ordine del giorno. Qualche esempio: le condizioni degli
alloggi (foyer) per gli studenti che ne fanno richiesta sono
allucinanti; inoltre gli uffici dei suddetti non comunicano con
l'ufficio dell'istituto, dando luogo a incomprensioni pazzesche su
cui non mi dilungo (cose che ho sperimentato nel 2010 e che mi hanno
dissuaso dal ripetere l'esperienza!); le informazioni sui corsi non
sono mai troppo chiare e non vengono date con anticipo, nonostante ci
sia gente che venga apposta, per dire, dalla Corea per fare questa
scuola; il sito web è un disastro e non solo non pubblica le
informazioni fondamentali, ma funziona solo in francese, mentre le
versioni in inglese e in arabo (!) non funzionano da anni - ancora,
pensate a un povero coreano dall'altra parte del pianeta, che in
francese non sa dire manco 'oui'; il fantomatico sistema di
preiscrizione online è una buffonata perché si inceppa ogni due
tre, quindi pensate sempre al nostro amico coreano che viene apposta
dall'altra parte del globo in Tunisia, per scoprire che il suo corso
non partirà per mancanza di iscritti: ma far iscrivere la gente
online per rendersi conto del numero di studenti, e poi mandare
un'e-mail in Corea per avvisare che il tale livello non parte, no?
E così via.
MA. Ma. Non avevamo idea di quale fosse
il problema più serio. Cosa spinge questi docenti ad andare a
protestare dritti ai piani più alti del sistema pubblico?
Ed è stato solo lì, nella stanza del
consigliere del ministro, e poi nella stanza del ministro, che si è
svelato tutto. Nelle suddette stanze sono stata indebitamente
introdotta anche io. Lo so, lo so, pazzesco. Il fatto è che
servivano un paio di persone che rappresentassero gli studenti, per
cui la scelta è caduta su una tipa belga molto agguerrita, che non
parla ancora una parola di arabo (ma essendo belga parla francese, il
che in Tunisia fa lo stesso), e soprattutto è una piccola
sobillatrice di folle; dopodiché mi hanno preso di peso e mi hanno
detto: "Tu! Devi parlare tu! Perché tra i presenti sei quella
iscritta al livello più alto di arabo!".
La mia faccia convinta (?) e l'ottima maglietta che per caso sfoggiavo
Ecco, quando ti gettano su una poltrona
di pelle umana a parlare col ministro dell'istruzione tunisino, ecco,
quelli sono i momenti in cui vorresti saper parlare un perfetto arabo
classico.
In ogni caso io mi sono limitata a dire
che l'istituto è molto famoso nel mondo, che ci veniamo perché
sappiamo che la qualità delle lezioni è eccellente, e che per
questo merita di più (ho dimenticato di chiamare il ministro "signor
ministro", come facevano gli altri, ma queste formalità sono
qualcosa che ho difficoltà a imparare...in tutte le lingue, ehm). A
titolo informativo, il ministro è di Ennahdha (il partito islamista
che ha la schiacciante maggioranza nell'attuale governo) e prima
della "rivoluzione", quando il suo partito era fuorilegge,
è stato in carcere 17 anni. Attualmente c'è un'inchiesta
giornalistica sulla corruzione all'interno del suo ministero.
I prof, nel palazzo del potere, aprono
le loro cartelline e, dati alla mano, fanno notare quanti soldi
entrino direttamente nelle casse dell'istituto, specie grazie ai
corsi estivi ai quali affluiscono stranieri da tutto il mondo per
imparare l'arabo, a prezzi maggiorati (d'inverno 250 ore di arabo
costano 800 dinari, d'estate 100 ore 600 dinari!). Che fine fanno
tutti questi soldi? Perché i servizi che la scuola offre, come
abbiamo visto, sono davvero scrausi. Manco due libri a colori, nella
migliore scuola di arabo del mondo. Vanno forse, questi soldi, a
questi bravissimi professori? Perché se è così non ci sarebbe
nulla da ridire...
E invece lì si scopre tutto: su una
ventina di professori, solo due hanno il posto fisso; gli altri sono
tutti 'vacataires', precari, che lavorano senza alcun tipo
di contratto, neanche a tempo determinato. La cosa funziona così:
all'inizio di ogni trimestre viene loro detto se insegneranno e a
quale classe insegneranno. Lo stipendio arriva loro a trimestre
concluso, senza contare i ritardi. Dopodiché di nuovo l'angoscia di
sapere se lavoreranno il trimestre successivo. Ovviamente non hanno
alcuna garanzia, non hanno ferie pagate, infortuni, pensione, volendo
possono essere licenziati in ogni momento. Alcuni di loro lavorano
così da più di 10 anni, senza mai essere stati regolarizzati.
L'iscrizione al sindacato che dovrebbe tutelare i loro diritti è
riservata solo a chi ha il contratto regolare.
E sono tipo i migliori prof di arabo
del mondo! E lavorano per lo Stato! Cioè: lavorano in nero per
lo Stato! L'eccellenza, il fiore all'occhiello del sistema di
istruzione tunisino, il faro di sapere blablabla!
A quel punto è stato chiaro quale
fosse il vero problema.
Consigliere e ministro si dicono
sbalorditi, ufficialmente non sapevano niente; telefonano al rettore
dell'università El Manar per fissare un incontro.
Il giorno dopo, il magnifico rettore
in persona viene all'istituto Bourguiba, e le lezioni sono ancora
sospese per permettere un'assemblea nell'aula magna con tutti
presenti: docenti, studenti, magnifico rettore e direttore
dell'istituto. Sempre a titolo informativo, il rettore è ex-RCD
(partito di Ben Ali, il dittatore cacciato nel 2011). Il succo dei
discorsi delle autorità è che dobbiamo essere comprensivi, perché
la situazione attuale della Tunisia, in generale, non è quella
normale, ma difficile, transitoria e instabile. Ma se questa storia
dei contratti dei docenti va avanti da dieci anni!
Per di più siamo accusati tutti di non
avere rispetto per le gerarchie, visto che siamo corsi direttamente
al ministero senza passare per i gradi intermedi (tipo il rettore,
naturalmente). Ma è vero pure che la direzione non si è mostrata
affatto disponibile al dialogo...
Dopodiché l'assemblea viene ristretta
ai soli docenti.
I risultati: niente di tangibile. Ma le
facce dei miei prof sono raggianti. Per loro è importante aver fatto
sentire la loro voce. Avrebbero potuto fare una cosa del genere prima
della "rivoluzione"? "Macché, due anni fa saremmo
andati dritti dritti in galera!" "Come abbiamo cambiato
questo paese, così possiamo cambiare questa scuola". Ammori,
stelle, che tenerezza. Non ho cuore di dire loro che in Italia,
nonostante tutte le proteste, tra poco l'università pubblica starà
messa più o meno allo stesso modo...Altre facce sono più scure, i
docenti temono punizioni, licenziamenti, specie ai danni dei due che
hanno il posto.
Comunque, le lezioni riprendono, le ore
vengono recuperate, dell'argomento non si parla più per qualche
tempo. Nel frattempo imparo a conoscere i miei due prof, e scopro,
tra le altre cose, che uno dei due insegna anche in un'altra scuola
per riuscire a mantenersi; l'altro, invece, è sposato e ha un bimbo
di un anno e mezzo: i tre, col lavoro di lui al Bourguiba e col
lavoro di lei come commessa in un negozio di abbigliamento, pagano
l'affitto per il rotto della cuffia.
Verso novembre, i docenti vengono a
lezione per qualche giorno con delle fascette rosse al braccio, come
modo silenzioso per ricordare le loro rivendicazioni.
Poi, a dicembre, di nuovo: una giornata
di sciopero; una nuova gita al ministero; una conferenza a Hammamet
il 18 dicembre, con giuristi e sindacalisti, per presentare i
problemi degli insegnanti.
Noi studenti abbiamo scritto una
lettera di solidarietà, che pare abbia impensierito il direttore,
specie laddove dicevamo che avremmo diffuso informazioni sulla
situazione presso i nostri colleghi nei nostri paesi. In fin dei
conti siamo noi che portiamo fama e soldi all'istituto.
E ora, a quanto pare, si aspetta.
Questo di cui sono testimone è un
piccolo tassello del quadro disperante del lavoro in Tunisia.
Non per niente la scintilla della "rivoluzione" di due anni
fa era legata a questo: al lavoro - anche se poi il fuoco si è
propagato in seguito all'assurda risposta, violenta e criminale, del
governo nei confronti delle manifestazioni, e alla giusta
indignazione dei cittadini. Non per niente poche settimane fa, nella provincia di Siliana, i lavoratori hanno chiesto le dimissioni del governatore e la polizia ha risposto sparando sulla folla pallottole per uccelli (per la pressione del sindacato, poi, quel governatore ha
dovuto
dimettersi!).
Non per niente tutte le categorie del lavoro in Tunisia, adesso che
si può fare, scioperano ogni due tre. Non per niente il sindacato
(Unione Generale Tunisina del Lavoro) aveva proclamato un temutissimo
sciopero generale per il 13 dicembre: il terzo sciopero generale
nella storia della Tunisia indipendente, che secondo alcuni avrebbe
fatto cadere il governo, ma che poi è stato revocato all'ultimo
minuto.
E, nel suo piccolo, questa lotta degli insegnanti assume dimensioni epiche, almeno vista da qui. Ecco, tra tante cose che non
sono affatto cambiate rispetto a due anni fa, e altre che sono
peggiorate, questa per contro è una cosa davvero bella: poter
esprimere, finalmente, dissenso.
Anche se sono sempre più convinta che sia come dice Ascanio Celestini: la differenza tra una dittatura e una democrazia è che in una
dittatura non puoi parlare, perché anche i muri hanno orecchie; in una democrazia, invece, puoi dire
quello che vuoi ...tanto nun te sente nessuno.