E' passato tanto tempo ma, seppur di base a Roma, continuo ad andare e venire dalla mia seconda casa: la Tunisia.
Chi ricorda le decine di foto che ho scattato alle scritte sui muri di Tunisi, e magari ci si era un po' appassionato, sarà contento di sapere che sono state raccolte in un libro. Le foto sono accompagnate dalle mie considerazioni, più qualche contributo esterno - es. alcuni artisti tunisini e la prof.ssa di Storia contemporanea del mondo arabo Laura Guazzone.
Tre anni di politica tunisina letta attraverso gli umori della strada.
Ammirate il favoloso booktrailer! L'ha fatto la mia amica Yassmin, a Parigi, e vi dico solo che ha reclutato un'attrice russo-algerina e ha incluso delle riprese tremolanti che ho girato io a Bab el Khadhra, Tunisi, quest'estate. Poi seguono un paio di minuti con la mia capoccia e la descrizione del progetto ad opera di me medesima, che mi vergogno e gesticolo come un'indiavolata.
Voila:
Non so se lo avete capito, ma alla fine del video chiedo soldi. Eh sì, èun progetto finanziato dal basso e, se volete sostenerlo, cliccate qui per partecipare alla campagna di crowdfunding. La raccolta finisce a metà febbraio 2015.
Dateci una mano a pubblicarlo: in cambio potrete sfogliare un'indagine originale sulla società tunisina nel suo periodo più interessante, e dare concretezza a questi particolarissimi documenti storici che sono...le scritte sui muri.
Date un'occhiata a questo progetto che viene portato avanti da alcuni amici tunisini: qui e qui.
Si chiama بلاش حس "Blech 7ess", espressione che in arabo tunisino significa letteralmente "senza rumore", nel senso di "non fare rumore, fai silenzio!". Ma dal momento che "blech" oltre a "senza" significa anche "gratis", ecco che il senso di quella originaria frase intimidatoria viene capovolto e diventa il nome di uno studio di registrazione autogestito, dove ciascun gruppo o musicista è il benvenuto a registrare "rumore gratis", nel senso di musica gratis. Doppiamente gratis, perché lo studio può sì essere usato senza sborsare un dinaro, ma ad una condizione: che la musica che ne esce sia fruibile liberamente anche dagli ascoltatori, su internet, sotto licenza Creative Commons.
Fico, no?
Mini-nota per chi magari non lo sa e si è stranito: i ragazzi arabi, quando devono scrivere parole arabe con l'alfabeto latino - tipicamente, negli sms e su internet - usano i numeri per rappresentare delle consonanti che non possono essere rappresentate da alcuna lettera latina (in base a un criterio di somiglianza grafica tra quelle lettere arabe e alcuni numeri). La 7 di 7ess, quindi, non è un mio errore di battitura, bensì è quella meravigliosa faringale che sentite nel video.
Quella dello studio di registrazione, in realtà, è solo l'idea iniziale: simbolo del diritto di fare caciara, il locale di Blech 7ess sta diventando una sorta di centro sociale. Sì, lo so, da matti, un centro sociale in Tunisia. Beh, non immaginatevi un centro sociale occupato, perché in realtà i ragazzi pagano l'affitto, eheh. Ma è un affitto irrisorio perché l'appartamento si trova in un palazzo a dir poco diroccato, e per metterlo a nuovo si sono improvvisati tutti falegnami, imbianchini, elettricisti e artisti. Adesso l'interno fa la sua porca figura.
Oltre alle registrazioni, quindi, al momento vi si svolgono assemblee e workshop, vi si organizzano concerti, vi si stampano magliette, vi si realizzano e vendono oggetti vari per autofinanziarsi e, ultima novità, vi si tengono tutti i giorni lezioni di lingua gratuite (arabo classico, arabo tunisino, arabo siriano, italiano).
Oggetti autoprodotti: bloc-notes e gioiellini vari.
La leggendaria "macchina delle magliette".
Lezione di italiano avanzato per tunisini.
Lezione di dialetto tunisino per stranieri (a sinistra) e lezione di italiano base per tunisini (a destra).
(Tutte le foto sono tratte dalla pagina facebook di Blech 7ess).
In bocca al lupo a tutta questa gente che ha voglia di fare.
...parole di Selma Hajji, che ha vissuto con me da ottobre a marzo e alla quale, ora che non siamo più coinquiline, devo dedicare qualche riga!
Conosciuta tramite un amico di più vecchia data - di cui spero di parlare prossimamente, essendo lui un personaggio estremamente interessante (aggiornamento: ne parlo qui) - ha 22 anni e studia scultura all'accademia di belle arti di Tunisi.
Nella nostra ex-casa in preda a un attacco d'arte delle ore 02.05 di notte.
Quando l'ho incontrata la prima volta si era appena rasata i capelli a zero. A chi le chiedeva "Ma che hai fatto?!" rispondeva cose come "Voglio vedere come faranno adesso i salafiti a dirmi che devo coprirmi i capelli!" o "Sai, ho un cancro nell'anima." Provocazioni a parte, la faccenda è più profonda di quanto sembri: a scatenare il gesto è stata una vicenda tunisina dello scorso settembre, in cui una ragazza è stata violentata da due poliziotti, e ad essere condannati non sono stati solo questi ultimi per stupro, ma inizialmente anche lei per oltraggio alla morale (stava infrattata col fidanzato nella macchina parcheggiata; se non sapete nulla di questa storia che ha fatto indignare mezza Tunisia, potete leggere per esempio qui). Da qui sono seguite, nella capoccia di Selma, considerazioni sulla visione della donna come demonio seduttore; sulla 'awra (vedi due post fa); sull'effettiva necessità di discutere di quante ciocche di capelli possano o non possano fare capolino dal velo, o quanti centimetri una gonna possa essere sopra o sotto il ginocchio per costituire nella testa di alcuni un invito sessuale, o una giustificazione alla molestia o alla violenza; su come la religiosità dovrebbe essere un fatto interiore enon di posa o vestiario, e la morale non dovrebbe misurarsi, ad esempio, con la maggiore o minore visibilità di capelli lunghi e fluenti, segno della seduzione per eccellenza tra i maschioni di queste parti: come se una donna femminile e seducente non potesse essere una buona musulmana di sani principi morali...o come se, invece, coprendo più pelle o privando una donna dei capelli ne eliminassimo automaticamente la femminilità e il sex appeal. Quindi adesso mi taglio tutti i capelli e vediamo un po': è andata così.
La sua prima opera che ho visto è stata questa:
Si trattava di una mostra collettiva che doveva avere come tema il colore nero; Selma ha scelto di rappresentare una "vedova nera", che però non è più costretta, come la biologia vorrebbe, ad assassinare e sbranare il partner dopo l'accoppiamento per assicurarsi la forza necessaria alla deposizione delle uova, perché è dotata di preservativi e quindi entrambi lui e lei possono vivere sereni. Si potrebbe obiettare che così la nostra eroina evita sì la morte del compagno e la vedovanza, ma anche la maternità e la procreazione...ma qui stiamo parlando della Tunisia, ricordate? Non è così banale, qui, ribadire che la donna non è solo matrimonio casa e figli; e quest'opera, come lascia intendere la didascalia, parla dilibertà di scelta.
Poi fa opere sui temi del piccolo, del quotidiano, del brutto e del disgustoso, perché secondo lei lì in realtà c'è la vera vita, prendete ad esempio questa serie di sculture in resina che rappresentano gomme da masticare:
Queste sono gomme vere, ciascuna sotto teca col nome del masticatore che l'ha sputata: come fossero i ritratti delle persone di cui...hanno fatto parte.
Lo stesso dicasi per questo video dal titolo "Sputo":
Il Goethe Institut di Tunisi ha indetto un concorso perché degli artisti decorassero con le loro opere la facciata dell'istituto stesso, ciascuno per un periodo di un mese.
Selma è stata tra gli artisti selezionati e premiati - qui potete leggere un'intervista a lei fatta dai crucchi per l'occasione - e la sua opera è stata questa:
E' un fotomontaggio (poi stampato in un formato enorme e appeso alla facciata) sulla base di una foto dell'89 della caduta del muro di Berlino (questa), in cui c'è un parallelo con la rivoluzione tunisina, dato dalla parola "Dégage" fotoscioppata sul muro, ma in cui, soprattutto, al posto dei soldati che abbattono il muro, al centro, si vedono personaggi della cultura e dell'arte sia tedeschi che tunisini, come Nietzsche, Fritz Lang, Aboul Qacem Echebbi - il poeta nazionale tunisino, che guida il gruppo e che è contrassegnato dall'unico elemento rosso, sulla capoccia. Perché la rivoluzione culturale dovrebbe venire prima della rivoluzione politica o delle armi, anzi, perché "la politica senza cultura non è che rovina dell'anima"!
Questo titolo non solo è tutto un'allitterazione, ma tiè, ora che
lo leggo è pure un endecasillabo. Dante mi fa un baffo. Ma andiamo
avanti.
Ho pensato di raccontare due sguardi contrapposti sulla "rivoluzione"
tunisina attraverso due personaggi che li incarnano rispettivamente,
e che sono i due professori con cui ho studiato lo scorso trimestre
(ottobre-novembre-dicembre). Per tutelare la loro privacy daremo loro
dei nomi e cognomi fittizi, uhm, diciamo Boccia Comunista e Barbetta Religiosa,
in accordo con la forma e distribuzione dei loro peli facciali e al
contempo con la più eclatante delle loro caratteristiche politiche -
la barbetta poi, rientra in entrambe le categorie perché è simbolo
di islamismo, tant'è che sotto Ben Ali era
pressochè vietata, se non volevi finire spiato e incarcerato. Però
sia detto che quella di Barbetta non è una barba salafita,
ma appunto una barbetta musulmana appena accennata, moderata.
Barba musulmana salafita
Barba musulmana riformista
Barba yasariyya (= di sinistra)
Per boccia, invece, in questo caso non intendo ovviamente la boccia da nazi skin, ma un taglio di capelli tipo questo.
Entrambi lavorano nella capitale, ma entrambi vengono dall'interno
della Tunisia, da quei posti dove la gente non ha neanche le scarpe,
e da dove non a caso è partita la rivoluzione: la regione più
disastrata del paese, ignota ai tunisini stessi prima dei recenti
avvenimenti, dimenticata in anni e anni di investimenti del governo
esclusivamente nelle città costiere.
Boccia è di Gafsa (قفصة), capoluogo di un governatorato che sarebbe un
cratere di nulla se non fosse che c'è uno dei giacimenti di fosfato
più grandi del mondo, intorno al quale gravitano lavori e vite degli
abitanti - anche perché qualsiasi attività di agricoltura e
allevamento è totalmente compromessa dall'inquinamento dovuto
all'estrazione. Qui è nata la rivolta del 2008, vera antesignana di
quella del 2010: leggetevi questo bellissimo articolo, e guardatevi il trailer di
questo film, "Sia maledetto il fosfato", appena uscito in
Tunisia.
Barbetta, invece, è di Kasserine (القصرين), città protagonista,
immediatamente dopo Sidi Bouzid, delle rivolte del dicembre 2010 che
hanno portato alla caduta del regime, e teatro, in particolare, dei
primi violentissimi scontri, in cui la polizia ha ucciso più di 50
cittadini. Si tratta di un altro gorgo di miseria dove, questo
secondo la visione semplificata di Barbetta, i giovani si dividerebbero in due
categorie, entrambe estreme, che ruotano intorno agli unici due
luoghi di aggregazione presenti: i teppistelli che passano la
giornata al bar, o i fanatici che passano la giornata in
moschea.
Entrambi la rivoluzione l'hanno "fatta", entrambi erano
nella capitale il 14 gennaio 2011, col pensiero ai loro paesi, a
gridare "dégage" e a farsi picchiare dalla polizia, ed
entrambi dicono che in quel momento non gli sarebbe importato di
morire. E sì che Barbetta all'epoca aveva una moglie incinta! Ma lo
spirito del martirio, da queste parti, funziona così...
In cosa si differenziano dunque i nostri eroi?
Boccia è giovanissimo ed è bello come il sole. Uh...Cos'ho detto?
No! Non ho affatto una cotta per lui! E' stato un lapsus. Ricominciamo.
Boccia è colto, profondo, critico. Alle elezioni dell'assemblea
costituente nell'ottobre 2011 ha votato comunista - vabbè del resto,
come abbiamo visto, lo dice il suo cognome. Ciò non contraddice, a
suo modo di vedere, il suo essere musulmano. Forse non proprio
musulmano osservante - ad esempio sappiamo che non disdegna l'alcool,
e non solo dalle sue citazioni entusiastiche del poeta del vino Abu Nuwas - ma comunque musulmano. Dalle sue parole: "Non mi definirei comunista, anche perché non è detto che uno debba riconoscersi in toto in una particolare dottrina; però ritengo
giusti molti degli ideali marxisti, e credo che non siano
inconciliabili con l'islam."
Barbetta ha dieci anni di più e tiene famiglia. Non ha la stessa
profondità né la stessa apertura mentale; però è molto più
socievole, caciarone, e propenso alla chiacchiera con gli studenti.
Questo si traduce in un sacco di dibattiti in classe su questioni
religiose e politiche, che noi fomentiamo un po' per scherzo un po'
per sincero interesse, perché, essendo i nostri rispettivi punti di
vista totalmente alieni l'un per l'altro, ne nasce veramente un
confronto. Di solito Barbetta ci ascolta dapprima con curiosità e poi dice
"D'accordo, questa è la tua opinione e la rispetto",
affrettandosi a cambiare argomento: in quel momento, gli leggi nello
sguardo come stia mentalmente cercando rifugio nel Corano dagli
attacchi di questi piccoli miscredenti stranieri alle sue certezze.
Povero! Studenti che lo hanno avuto in passato ci hanno raccontato
che, invitati a proporre articoli di giornale da leggere in classe,
gli hanno portato "Imam benedice nozze omosessuali".
Geniale.
Alle elezioni ha votato Ennahdha (chevvelodicoaffà), partito islamista che ha vinto.
Boccia
è fan del diritto di sciopero e del sindacato (الاتحاد
العام التونسي للشغلUnion Générale Tunisienne du Travail),
che lui idealizza e che ritiene l'unica forza alternativa di
opposizione, in mezzo ai due fuochi che sarebbero da una parte gli
islamisti alla ribalta e dall'altra i residui corrotti del vecchio
regime ancora in piedi.
Barbetta è un crumiro che a dicembre invitava a boicottare lo sciopero generale,
più che altro perché si sarebbe trattato di opporsi al governo che
lui sostiene.
Boccia non è per niente contento. E' disgustato dalla politica,
amareggiato dal fatto che la rivoluzione non abbia portato nessun
cambiamento concreto per quanto riguarda le istanze primarie che
l'avevano mossa: lavoro, dignità, diritti sociali. La sua città,
per esempio, è messa come prima, e lui lo sa bene.
Barbetta, invece, non si interessa di politica più di tanto -
ragion per cui, essendo un bravo musulmano, si è limitato a votare
un partito che diceva ai bravi musulmani: se hai fede in Dio, puoi
riconoscerti in me - ma quando parla della rivoluzione, ha i
luccichii negli occhi.
Che la sua città natale sia un disastro come due anni fa e che
continuino a esservi fabbriche che chiudono, licenziamenti, scioperi
e manifestazioni, che lui stesso, nella capitale, lavori pagato a
cottimo e senza lo straccio di un contratto per un'università
pubblica...tutto questo, lui, pare non vederlo, quando gli si fa
notare il fallimento dell'attuale governo. Nega l'evidenza e dice che
va tutto bene, che quei problemi, che lui è il primo a scontare, li
inventa la propaganda dell'opposizione. Forse perché qui, nella
Tunisia postrivoluzionaria in cui il dialogo tra le forze politiche è
appena nato, troppo spesso ci si sceglie uno schieramento e poi lo si deve
difendere a oltranza contro i nemici, anche indipendentemente dai
contenuti – cosa che riscontriamo anche nell'ardore di Boccia nei
confronti di un sindacato che, senza nulla togliere alla sua storia e all'importantissimo ruolo giocato durante la rivoluzione nel
coordinare le lotte, al momento si è accordato col governo in barba
ai lavoratori.
O forse, è perché il partito di Dio non può sbagliare. Boh.
Fatto sta che per Barbetta, quello che conta è che la rivoluzione
gli ha dato la libertà di esprimere quello che è – ovvero un
bigotto, ma pur sempre quello che è! Se prima non si sentiva libero
di andare in moschea a pregare o di mostrare apertamente la sua
religiosità, adesso può fare quello che vuole senza temere sospetti
e delazioni. "Io adesso respiro a pieni polmoni, io adesso
cammino a testa alta per la prima volta nella mia vita. Abbiamo
sconfitto la paura! Questo senso di orgoglio e di serenità che
provo adesso non l'avevo mai provato, e non può togliermelo più nessuno. Per quanto mi riguarda, tanto mi basta". Vi confesso che queste parole mi
hanno commosso, e che, se si prova a guardare dal suo punto di vista,
le cose stanno in effetti anche così. Perché il regime di
Ben Ali, facendosi scudo del concetto del "laicismo dello stato"
e facendosi bello davanti ai nostri governi con la "lotta
all'integralismo", ha agitato la bandiera del pericolo islamista
per mandare in carcere o in esilio la più importante forza di opposizione
(appunto, quegli islamisti che ora sono tornati allo scoperto) e per
mantenere uno stato di polizia. Però noi, in Europa, dicevamo che la
Tunisia era uno stato laico e che il presidente era riuscito ad
evitare il pericolo del terrorismo, contrariamente a quanto succedeva nella vicina
Algeria. E ci piaceva. Tanto, che poi i tunisini vivessero in uno
stato di partito unico, terrore, intercettazioni, spionaggio,
polizia, prigione, tortura, censura a qualsiasi mezzo di comunicazione
e mancanza di ogni tipo di libertà...chi lo sapeva? A chi importava?
E che questo presunto laicismo fosse solo una facciata, chi lo
capiva?
Per me il
vero laicismo è una battaglia culturale per liberare lo Stato
(che dovrebbe essere un fatto pubblico) dall'ingerenza della
religione, e allo stesso tempo la religione (che dovrebbe essere un
fatto privato) dall'ingerenza dello Stato. Ad esempio, nonostante la dittatura ci fosse anche lì, perlomeno sotto Bourguiba, che ha praticamente fondato la Tunisia moderna dopo l'indipendenza dalla Francia nel 1956 (e che ha lasciato la presidenza del paese solo nel 1987, quando l'allora primo ministro Ben Ali lo depose con un colpo di stato incruento, dichiarandolo incapace di governare per via della vecchiaia), la Tunisia è diventata uno dei paesi più laici e aperti, culturalmente parlando, del mondo arabo: è stata promossa l'istruzione e così i diritti delle donne, sono state aperte le
prime scuole miste, si è regolamentato il divorzio civile al posto del "ripudio" della legge islamica, è stata
abolita la poligamia maschile, altrimenti consentita dal diritto musulmano. Ma
laicismo non è proibire il velo o le barbe;
tantomeno incarcerare i membri dei partiti di ispirazione religiosa!
Se vuoi uno stato laico per davvero, per me la prima cosa che devi
fare è favorire l'istruzione, la cultura, la circolazione di idee,
il dibattito. Ovviamente non la repressione! In fondo è successo
così da noi nel '68, o no? Stando ai racconti di mamma e papà,
senza quel clima di grande fermento culturale e dialogo, non ci
sarebbe mai potuta essere nessuna rivoluzione sessuale e staremmo
ancora come mia nonna siciliana: matrimonio e figli obiettivo
principale della vita di ogni donna, vergini fino al matrimonio, il
sesso solo per procreare, acqua di Lourdes nelle boccette di plastica
a forma di madonnina, con la coroncina blu come tappo. E infatti la Tunisia è tipo un po' così. Perchè Ben Ali mica l'ha promossa 'sta rivoluzione culturale del laicismo. Poi vabbè, le bottigliette a forma di profeta Mohammed non le possono fare perché l'islam è iconoclasta...grazie a Dio! Però, a casa mia, il proprietario ci ha lasciato una riproduzione in plastica della moschea del profeta a Medina.
Il livello di trashitudine mi sembra simile, no?
Boccia è contrario al niqab.
Oh no, non sapete cos'è il niqab? Al volo: è questo e in Tunisia, prima della rivoluzione, praticamente non esisteva.
Adesso si vede in giro: RARAMENTE, molto raramente, ma si vede. Paradossalmente, i primi tempi ci
facevo meno caso io, che ho vissuto in Egitto, dove era all'ordine
del giorno, piuttosto che i miei amici tunisini, che si danno le
gomitate e si bisbigliano "Oh, hai visto quella?" se per
caso passa una che lo indossa. "E' inquinamento ottico!"
dice sempre la mia coinquilina (tunisina). Quindi hanno fatto venire anche a me la fissa di notare queste tipe per strada, tanto che, ormai, quando passa
una col niqab mi viene da fare “tua, chiuso”!
Boccia dice, giustamente, che non è una cosa che fa parte della
cultura tunisina, che i salafiti vogliono portare in auge delle
strane robe del golfo o afghane che non si sono mai viste da queste
parti.
Intervista realizzata dal ragazzo della mia coinquilina a un commerciante che vende vestiti provenienti dall'Algeria e dall'Arabia Saudita davanti alla moschea di Al-Fatah a Tunisi (che sta a due passi dalla mia scuola ed è un noto covo di salafiti).
Boccia sostiene, quindi, che questo genere di vestiti "estremisti",
non solo il niqab e altri indumenti femminili, ma anche le tuniche maschili modello saudita o afghano, andrebbero vietati in quanto estranei alla
tradizione tunisina. Che se proprio uno vuole indossare vestiti tradizionali, a questo punto che indossi la
più autentica jubba
tunisina e la chechia “...come fa mio padre a Gafsa”.
Abiti tradizionali tunisini. La chechia è quel berretto rosso :)
"Ma allora i jeans, le t-shirt, e tutti i vestiti
che indossate su modello occidentale? Dovreste vietare anche quelli?"
osserva la mia compagna di classe americana, smontando in un secondo
il ragionamento dell'insegnante. La verità è che c'è molta rabbia
negli animi di chi, come Boccia, vede per certi versi la cultura del
paese importare modelli di arretratezza anziché progredire. Ad esempio, è dura vedere rimessi in discussione diritti della donna che parevano
acquisiti da decenni - cfr. la famosa definizione proposta per la costituzione, per cui la donna non sarebbe "uguale", bensì "complementare" all'uomo.
Ma
proibire alla gente di vestirsi come gli pare, è giusto? Allora
rifacciamo come faceva Ben Ali, un finto laicismo che proibisce le
espressioni religiose?
Barbetta
è anche lui contrario al niqab. Non gli piace, e dice che il
vero islam non prescrive affatto una cosa così opprimente per le
donne. Ma ritiene che ognuno debba essere libero di indossare quello
che gli pare.
E qua mi
fermo perché la discussione sarebbe lunga. Io sono d'accordo con
Barbetta e penso che non sia giusto che lo Stato intervenga nella
sfera delle scelte individuali. Allo stesso tempo, però, non crederò
mai che una donna "scelga liberamente" di indossare una
cosa come quella, che è palesemente uno strumento di tortura
inventato dai maschi – come lo sono i tacchi a spillo, la taglia 42
e il perizoma.
Boccia,
quando durante il corso affrontiamo l'argomento del "dialogo tra
le religioni" e troviamo tra i brani in programma che "tutte
le religioni hanno principi condivisi come la tolleranza, la pace e
l'amore", interviene a puntualizzare che, in realtà, questi non
sono principi prettamente religiosi, ma piuttosto principi umani. Io,
beh lo sapete, mi sarei spinta ancora più in là e avrei detto che
le religioni in realtà fomentano da sempre l'intolleranza, l'odio e
la guerra, ma capisco che era chiedere troppo, quindi ho comunque
apprezzato la precisazione del prof.
Barbetta,
quando affrontiamo con lui lo stesso argomento, viene paralizzato da
un'osservazione di un mio collega americano: "Parliamo di
dialogo, ma a questo dialogo di solito ci invitiamo solo le tre
religioni abramitiche, a volte per puzza ci infiliamo magari induismo
e buddismo (giusto perché abbiamo un coreano in classe, n. d. Luce)
, e comunque mai l'ateismo. Questi principi comuni di pace e
tolleranza non è che gli atei non ce li abbiano...". Barbetta
ci riflette su. Alla lezione successiva, nel riassumere il brano
letto, quando arriva al punto dei famosi principi comuni, aggiunge
"...come ci ha fatto notare l'altra volta C., questi principi li
condividono tutti, i cristiani, i musulmani, gli ebrei, i buddisti
etc. etc. ...e perfino gli atei". Io rido e gli chiedo:
"Perfino, eh?". Lui si rende conto, arrossisce, e mi
risponde timidamente: "Questo è l'inizio, Luce...questo è
l'inizio".
Ed
è proprio vero, questo è solo l'inizio di un
percorso di apertura, di confronto con le differenze e di dialogo,
che è iniziato in Tunisia e di cui le nostre classi sono solo un
piccolo esempio, coi professori che non vedono l'ora di discutere di
attualità a lezione; che ci fanno ascoltare le notizie alla radio
come esercizio di comprensione orale e non perdono occasione di
commentarle con noi; che propongono in classe il dibattito su quegli
stessi concetti, prima tabù, che ora i tunisini discutono non solo
in assemblea costituzionale, ma soprattutto nelle scuole, sui
giornali, in tv, a casa, nelle strade e nei caffé: la
democrazia, i diritti umani, l'indipendenza della magistratura, la
giustizia di transizione, la trasparenza del governo, il
laicismo...
Per
questo, nonostante Boccia abbia ragione su tutta la linea quando dice
sconsolato che la rivoluzione non ha cambiato nei fatti il paese, e
che non solo sono tutti più poveri e disoccupati di prima, ma devono
pure fare i conti coi barbuti...nonostante tutto questo,
personalmente sono convinta che i tunisini abbiano conquistato un
punto di partenza promettente per il cambiamento, e cioé il diritto
a opporsi; penso che la libertà di parola recentemente acquisita non
sia affatto cosa da nulla, e che i barbuti abbiano diritto a questa
libertà di parola anche loro; e che se i barbuti non piacciono,
allora bisogna veicolare idee diverse e alternative, sempre col
dialogo, con le armi della cultura (visto che già ci pensano alcuni
barbuti a essere violenti per davvero) e con tanta, tanta pazienza,
perché la rivoluzione, quella culturale, non si fa in un giorno.